Michele Rubino; Origini del Baguazhang

Comunemente, si usa contrapporre le arti marziali antiche ai moderni sistemi di combattimento. Le prime, imprigionate in immutabili canoni, ripropongono concetti e pratiche rigidamente codificati, che vengono acriticamente accettati, acquisiti e trasmessi anche se, ormai, obsoleti e palesemente inefficaci. “Questa è la tradizione, e non si cambia!” Eppure, una simile visione delle cose stride fortemente con la realtà storica. Da dove ha tratto origine il Baguazhang? I più autorevoli maestri della disciplina concordano sull’identità del fondatore, Dong Hai Chuan, e sul fatto che egli abbia creato il proprio sistema fondendo insieme elementi di altri metodi.

Il mio ultimo maestro, Xu Zaixing parlava di tecniche provenienti da diciotto scuole diverse. È una tesi molto difficile da verificare, in quanto Dong Hai Chuan non amava raccontare i propri trascorsi, e, quando lo faceva, cambiava spesso la versione dei fatti. Piaccia o no, il fondatore dello stile aveva avuto un passato turbolento. Era stato ricercato dalle forze dell’ordine per un presunto omicidio. Si era rifugiato nei boschi, spostandosi di continuo a cavallo da una Provincia all’altra dell’Impero Qing.

Cosa ancora più indicativa, portava con se’ una sciabola di tipo militare (una “liu ye dao”) ed uno sheng biao, un laccio con un puntale di ferro ad un’ estremità, che, sì, veniva, comunemente, usato per la caccia, ma veniva pure utilizzato dai ladri per scalare i muri delle case da svaligiare… Dong Hai Chuan, nel corso del suo lungo e pericoloso vagare, si sarà, certamente, trovato nella necessità di battersi, ed avrà, altrettanto certamente, incontrato persone abili nel lottare.

Dall’esperienza diretta, dalla critica personale e da qualche brillante intuizione avrà, quindi, elaborato un sistema di combattimento perfettamente adatto alla sua persona. Un episodio, narrato dal Maestro Liu Jingru nel suo trattato sul Baguazhang stile Cheng, evidenzia che Dong Hai Chuan non si era neppure dato la pena d’imporre un nome alla propria arte marziale. Nei racconti tramandati dalla scuola Yin della disciplina, si dice che, in origine, questa fosse, semplicemente, definita “Zhuan Zhang”, “Palmi vorticanti”. Dov’ erano i certificati scritti, i diplomi e gli attestati di Dong Hai Chuan? Qual’era la sua “genealogia”?

L’unica prova della sua maestria stava nell’ abilità che, più volte, aveva saputo dimostrare in combattimento. Dov’era la “purezza” del suo insegnamento, se, ad ogni allievo, aveva trasmesso l’arte in modo diverso, adattandosi alle attitudini ed all’esperienza pregressa di ciascuno? Non sarà, forse, proprio questo l’insegnamento più importante del Maestro Dong, “assorbire ciò che è utile”, come diceva qualcun altro che non credeva ai sistemi rigidamente codificati, un certo Bruce Lee?

Altra incongruenza che fa riflettere: ho tradotto i Trentasei ed i Quarantotto Canti del Baguazhang, due raccolte di versi che si vogliono composte dal fondatore della disciplina, e che costituiscono il riferimento teorico di ogni praticante. Ebbene, vi si trovano descrizioni degli atteggiamenti posturali, del modo di muoversi, delle strategie da adottare nelle diverse situazioni. Ma non viene illustrata neppure una tecnica, non, quantomeno, nel modo pedante al quale siamo, attualmente, abituati.

Le “forme”, poi, non solo non vengono descritte, ma nemmeno vi si fa il minimo accenno. Persino su quanto concerne l’impiego della forza, il Maestro è reciso: non esistono complicate classificazioni dell’energia! La complessità è figlia del tormento intellettuale, ed è madre delle insicurezze. Non dell’esperienza diretta, che, nelle arti marziali, è la maestra più impietosa, ma anche più onesta. Da quattordici mesi, ogni venerdì, mi alleno con un professionista delle Mma. La sua lunga esperienza in combattimento, maturata in numerosi Paesi esteri, ed i preziosi insegnamenti fornitigli da prestigiosi Maestri, primo fra tutti, Rickson Gracie, rendono gli sparring con lui dei veri tesori.

La cosa più interessante, però, è che non ho dovuto affatto rinunciare alla mia disciplina; piuttosto, ho imparato a comprenderla, ad ascoltarne i messaggi. “Si fa così perché è tradizione” è diventato “Si fa così: è per questo che viene tramandato.” L’esperienza che sto vivendo mi sta, inoltre, chiarendo che “parlare di stili è assurdo”, come ha scritto, ancora una volta, il buon Bruce Lee. Gli stessi elementi tecnici si ritrovano in tutte le discipline da combattimento, tradizionali o sportive che siano. I celebri spostamenti in cerchio del Baguazhang li eseguiva, identici, Petrosyan negli incontri di Muay Thai!

Naturalmente, esistono anche differenze. Vi sono sistemi di combattimento che tendono ad evolvere nel tempo. La Boxe, per esempio, ha subito una radicale metamorfosi dalla fine del 1800 ai giorni nostri. Anche la Muay Thai è cambiata, sebbene in modo meno appariscente. Ma un pugno resta pur sempre un pugno, direbbero certi cultori delle scuole tradizionali. Non è così. Differenze nella posizione di guardia, negli angoli d’attacco, nella genesi delle catene cinetiche, nell’assetto del corpo, nelle stesse metodiche d’allenamento modificano profondamente la potenza e l’effetto di un pugno.

Dunque, mi è difficile accettare di sferrare un colpo nello stesso modo in cui, presumibilmente, ma non comprovatamente, si portava centosessant’ anni fa, pur sapendo che, in tal modo, avrà un’efficacia inferiore a quella d’un gesto più evoluto. E, se le cognizioni per incrementare l’efficienza di un’azione del Baguazhang dovessero giungermi dal Brazilian Jujitsu o dal Lethwei, cosa farei di tanto eretico rispetto ai primi allievi di Dong Hai Chuan, che contaminarono, dichiaratamente, i loro sistemi con lo Shaolinquan, lo Xingyiquan e lo Shuaijiao?

In che modo tradirei gl’insegnamenti originali del Fondatore, quando lui stesso acquisì da Yang Luchan, il creatore dello stile Yang del Taijiquan, la tecnica “lan zha yi”, che si ritrova (identica e con lo stesso nome), nel quinto cambio di palmo della scuola Cheng del Baguazhang?Per quanto mi riguarda, considero molto evocativo il modo in cui i giapponesi chiamano le loro scuole tradizionali di arti marziali: ryu.

L’ideogramma cinese per questo vocabolo è 流, “liu”, ovvero “flusso”. Un fiume nasce dalla sua particolare sorgente, ma riceve affluenti che hanno, ciascuno, una diversa fonte; eppure, il fiume mantiene la propria identità per tutto il suo corso. Il fiume non si cura del nome che gli danno. Scorre!

INFO M° MICHELE RUBINO
Cell: +39 349 777 3646
EMAIL: michelerubino51@gmail.com

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